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Carcinoma tiroideo – Più colpite le donne. Le opzioni terapeutiche

Milano – Quello alla tiroide è il tumore del sistema endocrino più diffuso e il sesto tipo di tumore, per frequenza, nelle donne, con un rapporto maschi/femmine di 3/1. Nel 90% dei casi origina dalle cellule follicolari tiroidee che sono le cellule che producono gli ormoni tiroidei (fT3 e fT4), e prende il nome di adenocarcinoma papillare o

follicolare, caratteristiche che permettono di definirlo come “tumore differenziato”.

“L’incidenza di tale neoplasia è in aumento principalmente a causa di due fattori: il miglioramento delle tecniche diagnostiche che permettono di riconoscere sempre più precocemente la presenza di noduli tiroidei anche di piccole dimensioni e la maggiore esposizione a fattori di rischio ambientali (inquinanti, agenti tossici, radiazioni ionizzanti)” illustra il prof. Andrea Giustina, Presidente della Società Europea di Endocrinologia e del CUEM.

“In assenza di sintomi specifici e quando i noduli sono non palpabili e non rilevabili, la maggior parte delle diagnosi avviene in modo ‘incidentale’ ossia nel corso di indagini diagnostiche, come eco-color-doppler di vasi del collo, od ecografie del collo per sindromi aspecifiche. Anche in corso di PET/CT per altre patologie oncologiche non è raro riscontrare noduli ad elevato metabolismo”, prosegue Giustina.

Il sospetto diagnostico viene generalmente risolto mediante l’esecuzione di esame citologico su agoaspirato. La questione centrale, in presenza di un nodulo tiroideo neoplastico è la sua ‘stadiazione’, ossia la valutazione della sue caratteristiche che portano alla scelta del relativo trattamento. A seconda del cosiddetto ‘profilo di rischio’ del nodulo si opta per la chirurgia (parziale o radicale) e l’eventuale stadiazione e/o trattamento a base di radioiodio (I131).

Il trattamento con radioiodio ha tre obiettivi principali: 1) definire il profilo di rischio 2) distruggere eventuali foci di cellule tiroidee residue dopo l’intervento (sia non patologici che patologici); 3) localizzare e trattare eventuali localizzazioni di malattia, quali metastasi linfonodali e/o a distanza; 4) rendere il dosaggio della Tireoglobulina un marker idoneo per il follow-up.

Riguardo all’indicazione all’impiego dello I131, è presente un forte dibattito all’interno del mondo scientifico con punti di vista contrastanti, a seguito della pubblicazione di linee guida statunitensi (American Thyroid Association – ATA 2015).

In un recente studio del Gruppo di Medicina Nucleare dell’Università di Brescia condotto dal dott. Domenico Albano e dal prof. Raffaele Giubbini (“Possible delayed diagnosis and treatment of metastatic differentiated thyroid cancer by adopting the 2015 ATA guidelines”Eur J Endocrinol 2018;179:143-151) sono stati rivalutati circa 2500 pazienti sottoposti ad intervento chirurgico di rimozione della tiroide e trattamento con I131…”

Per continuare a leggere la news originale:

Fonte: “Carcinoma tiroideo: più colpite le donne, casi raddoppiati negli ultimi 20 anni. Quali le opzioni terapeutiche”, insalutenews

Tratto da: https://www.insalutenews.it/in-salute/carcinoma-tiroideo-piu-colpite-le-donne-casi-raddoppiati-negli-ultimi-20-anni-quali-le-opzioni-terapeutiche/