Tumori del cervello – Big data e avatar per contrastarli ma l’Italia non è pronta
“Antonio Iavarone e Anna Lasorella dal 2002 lavorano alla Columbia University di New York, dove hanno guidato un consorzio internazionale di scienziati per ottenere una mappa molecolare completa dei gliomi, neoplasie cerebrali rare. Lavoro che ha aperto a nuove prospettive di cura personalizzate, basate su complesse analisi, non ancora accessibili a tutti i Paesi
È l’era dei big data, dell’intelligenza artificiale e delle analisi complesse. Anche nella lotta contro i tumori. Su questo almeno non c’è dubbio. Se ancora ne resta qualcuno invece, è sulla possibilità di usare realmente questi strumenti a beneficio dei pazienti. Per lo meno in alcuni Paesi, come l’Italia, che secondo Antonio Iavarone, oncologo e docente di patologia e neurologia alla Columbia University di New York, è ancora molto indietro. L’esperto italiano negli ultimi mesi ha raggiunto due importanti traguardi nello studio dei tumori maligni del cervello. Frutto di un lavoro che va avanti da quasi venti anni, presso la Columbia, insieme alla collega e moglie Anna Lasorella, come spiega ad AboutPharma:
“Oggi l’unica possibilità per curare neoplasie cosi aggressive come i tumori maligni del cervello sono terapie personalizzate, messe a punto in base alle caratteristiche genetiche e molecolari dei tumori. Ma per avere accesso a una tale quantità di dati sono necessari studi estremamente complessi e approfonditi di analisi di sequenza del tumore. Lavoro che richiede una serie di expertise estremamente avanzate”.
La mappa molecolare dei gliomi
Lo scorso dicembre Iavarone e Lasorella hanno pubblicato su Nature Medicine un importante lavoro (The molecular landscape of glioma in patients with Neurofibromatosis 1), in cui per la prima volta era messa nero su bianco una mappa molecolare completa dei gliomi, tumori cerebrali che possono insorgere nel 10-15% di bambini e adulti affetti da neurofibromatosi di tipo 1 (Nf1). Il laboratorio della Columbia è stato l’hub internazionale che ha coordinato 25 centri di ricerca, università e ospedali in tutto il mondo. Dopo quattro anni di ricerche e diversi milioni di dollari finanziati dalla Children’s tumor foundation, ha permesso di tracciare una sorta di identikit complesso dei gliomi, mostrandone il contenuto genetico, epigenetico e immunitario. Grazie soprattutto a una significativa banca datidi tumori al cervello dei pazienti con neurofibromatosi di tipo 1.
I tumori immuno-competenti
La maggior parte dei gliomi sono resistenti alla chemioterapia e la radioterapia può aggravare i sintomi, piuttosto che alleviarli. Inoltre siccome i tumori in genere inglobano regioni cerebrali delicate, la chirurgia è spesso impraticabile poiché rischia di generare danni irreparabili. Non va meglio con l’immunoterapia, perché possibili infiltrati di macrofagi creano un micro-ambiente sfavorevole all’attività del sistema immunitario contro il cancro. Lo studio della Columbia University però ha rivelato che alcuni gliomi a crescita più lenta (più frequenti nei bambini), non contengono macrofagi e anzi producono proteine chiamate neoantigeni, che favoriscono la risposta immunitaria.
Ed ecco la prima scoperta del gruppo Iavarone-Lasorella, forse quella con impatto più immediato per possibilità terapeutiche: “Una percentuale significativa (intorno al 50%) dei gliomi di basso grado in pazienti con neurofibromatosi tipo 1 potrebbe rispondere alle terapie immunitarie perché al loro interno si trova un numero considerevole di linfociti T, in grado di riconoscere le cellule tumorali come estranee e quindi potenzialmente distruggerle” spiega il ricercatore. “Ci ha fatto capire che un sottogruppo di questi tumori al cervello è ‘immuno-competente’. Studi clinici sono ora in fase diprogrammazione per determinare il beneficio di queste terapie nei pazienti con le giuste caratteristiche tumorali. Il punto di partenza è però sempre conoscere il tumore a priori: non ha senso eseguire l’immunoterapia a tappeto, su tutti i pazienti, perché in molti casi non funziona”.
La fusione genica
Il lavoro di mappatura tumorale è frut-to di ricerche basate anche su tecnologie bioinformatiche, come l’analisi dei big data, che sfruttano algoritmi di machine learning e intelligenza artificiale, per esaminare in maniera accurata i tumo-ri. Rientra in un progetto americano più vasto – The Cancer genome atlas (TCGA) – finanziato dai National institutes of health (Nih), che ha l’am-bizioso obiettivo di studiare le sequenze genetiche dei tumori. Iavarone ne è il coordinatore per quanto riguarda i tu-mori al cervello.
Il secondo importante risultato ottenuto dal gruppo di ricerca della Columbia è l’aver identificato, già da tempo, la fusione tra i due geni FGFR33 e TACC3, presente nel 3-5% dei malati di glioblastoma; e in percen-tuale simile anche nella maggior parte dei tumori, come hanno dimostrato studi a seguire nel carcinoma del pol-mone, dell’esofago, della vescica, della mammella, della cervice uterina, della testa e del collo. Da qualche anno sono partiti studi clinici con farmaci che mi-rano a una delle proteine coinvolte nella fusione genica.
Ma la novità è stata aver compreso più nel dettaglio come la fu-sione genera e fa crescere i tumori. Iavarone e Lasorella hanno infatti capito che elemento cardine del meccanismo innescato dall’alterazione del Dna è l’aumento del numero e dell’attività dei mitocondri, che dà “benzina” al cancro. Aggiungere molecole che possono in-terferire con tale produzione di energia potrebbe giocare contro il tumore. “I primi risultati dei test su cellule tumo-rali in coltura e nei topi confermano questa teoria – conferma Iavarone – e mostrano che si può interrompere la produzione di energia e fermare la cre-scita tumorale”.
Gli studi clinici
Al momento sono attivi diversi stu-di clinici che utilizzano molecole bersaglio, come gli inibitori di tiro-sin-chinasi, rivolte a precise alterazioni geniche come la fusione genica FGFR3-TACC3. Oltre che negli Stati Uniti, al-cuni trial sono partiti anche in Francia presso l’ospedale Pitié Salpetrière di Parigi, sotto il controllo di Marc Sanon, coautore dello studio di Iavarone e Lasorella. “Nelle strutture maggiori viene sistematicamente fatta l’analisi molecolare dei tumori per vedere se è presente la fusione genica – continua l’oncologo italiano – e, se c’è, il passo successivo è l’accesso ai trial clinici che vengono svolti in collaborazione con le aziende produttrici dei farmaci bersaglio”…”
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Fonte: “Big data e avatar contro i tumori del cervello, ma l’Italia non è pronta”, ABOUTPHARMA