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Malattie rare – Distrofie muscolari, l’attività fisica fa bene o male ai malati?

In questo ampio gruppo di malattie non è evidente se, e fino a che punto, l’esercizio sia utile o dannoso. Nuove ricerche stanno dando indicazioni più chiare Precauzioni Fino a poco tempo fa si pensava che fosse meglio sconsigliare qualsiasi tipo di sport

«Dottore mia figlia ha 20 anni, in apparenza sta bene e vorrebbe fare qualche sport: è possibile sapere se ci sono controindicazioni?». È la domanda che la mamma di una ragazza con una forma rara di malattia neuromuscolare ha rivolto al professor Giuseppe D’Antona, responsabile del Laboratorio per lo studio delle attività motorie nelle malattie rare, Centro di Medicina dello sport di Voghera, Università di Pavia. Il quesito, in realtà, accomuna la grande maggioranza dei genitori con figli colpiti da una delle tante manifestazioni – circa 200 di cui la metà distrofie – di queste patologie ereditarie.

Le indicazioni non sono pacifiche

Può sembrare paradossale ma, nel caso delle malattie neuromuscolari, l’indicazione dell’attività sportiva come terapia non è così pacifica. Anzi. «L’esercizio fisico è stato demonizzato nel tempo – spiega il professor D’Antona -. Perché? Gran parte del mondo scientifico pensava che, avendo queste patologie a che fare con i muscoli, in via precauzionale fosse meglio chiedere al malato di non svolgere attività motoria per non accelerare il processo degenerativo. In altre parole: se c’è un gene difettoso che causa la malattia innescando un processo degenerativo ai danni del muscolo, il movimento come si inquadra? È qualcosa che determina un’accelerazione del processo miopatico, cioè della degenerazione muscolare, oppure è auspicabile perché necessario per il mantenimento della qualità di vita?». La risposta non è semplice, ma interessa moltissimo pazienti e familiari. Tanto più, considerando un problema di fondo: spesso si tratta di malattie difficili da diagnosticare (per alcune ci vogliono diversi anni o non si giunge a diagnosi) e che possono manifestarsi magari dopi i 30 anni.

Meglio prima o dopo la diagnosi?

Allora fare prima attività motoria, ad alta o moderata intensità, è pericoloso? E dopo la diagnosi, invece? Proprio per questo, l’argomento sarà al centro di un convegno (si veda la scheda a fianco) organizzato a Pavia dallo stesso professor D’Antona insieme ad Angela Berardinelli, responsabile dell’Unità operativa Neurologia dell’infanzia e dell’adolescenza all’Irccs Mondino, in occasione del congresso nazionale dell’Associazione italiana di miologia (Aim). «Siamo di fronte a un gruppo estremamente ampio di malattie – premette D’Antona -: sono stati identificati più di 30 loci genetici che danno mutazioni capaci di determinare distrofie muscolari. Una vera costellazione. In tema di attività fisica la cautela nasceva dal fatto che gli studi si sono focalizzati sulla distrofia muscolare di Duchenne , la più diffusa. All’origine della malattia c’è un difetto genetico che determina la perdita di una proteina presente nella struttura di supporto delle cellule muscolari, cioè la distrofina . Senza distrofina, la membrana cellulare può danneggiarsi più che in altri casi. Le nostre conoscenze però sono migliorate e sono emerse altre forme di malattia neuromuscolare dove ora si dimostra come l’esercizio fisico possa rallentare il processo miopatico».

Non tutte le distrofie sono uguali

Qualche esempio? «Nella distrofia facio-scapolomerale si è dimostrata l’efficacia soprattutto dell’esercizio di tipo aerobico, con un miglioramento di tipo funzionale, un aumento della forza e un miglioramento delle caratteristiche strutturali delle cellule muscolari di questi pazienti. Uno studio retrospettivo sulla malattia dei cingoli ha evidenziato come aver praticato attività motoria ad alta o media intensità non accelera la comparsa della malattia», risponde l’esperto. Certo sono emerse anche indicazioni di segno opposto, come una ricerca pubblicata nel 2018 a proposito della miopatia di Miyoshi dalla quale è emerso come l’attività ad alta intensità causava successivamente un’ aggravamento della malattia. «Ma è facile capirne il motivo – dice D’Antona -. Alla base di questa patologia c’è un deficit di disferlina , una molecola coinvolta nei processi di riparazione delle microlesioni delle cellule che normalmente si producono in tutti noi quando facciamo attività. La carenza di disferlina ritarda quei processi e li rende meno efficaci».

Evitare il «disuso» dei muscoli

Perché allora una malattia che coinvolge i muscoli potrebbe essere in qualche modo curata con l’esercizio? «Se il muscolo è ammalato, si tende a pensare che con un carico di attività la situazione peggiori – replica D’Antona -. Invece c’è un problema fisiologico che si chiama disuso , un circolo vizioso che si viene a instaurare a livello muscolare nel momento in cui diminuisce il livello di attività fisica. Stare fermi cambia il metabolismo cellulare, determina ulteriormente atrofia dei muscoli e quindi peggiora la debolezza del soggetto» …”

Per continuare a leggere la news originale:

Fonte: “Distrofie muscolari: l’attività fisica fa bene o male a chi ne soffre?”, CORRIERE.IT /SALUTE

Tratto da: https://www.corriere.it/salute/disabilita/19_giugno_03/distrofie-muscolari-l-attivita-fisica-fa-bene-o-male-chi-ne-soffre-f6ad56e6-6b4f-11e9-9e7e-c3b62bd0716c.shtml