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Scompenso cardiaco – Forse la dieta iposodica non serve

Il dubbio aleggia nell’aria da tanto, ma nessuno ha mai condotto degli studi di valenza scientifica tale da poter dare una risposta definitiva alla domanda: mangiare con poco sale giova alle persone con scompenso cardiaco? A dare una risposta ci ha provato una revisione sistematica pubblicata su Jama, che non giunge però a conclusioni certe. La risposta è dunque rimandata all’acquisizione dei risultati di tre grandi studi attualmente in corso: il Gourmet-HF, il Sodium-HF e il Prohibit Sodium. Nel frattempo, almeno nei pazienti ambulatoriali, gli autori consigliano di mantenere la dieta iposodica

Le persone con scompenso cardiaco devono ridurre il sale nella dieta? La risposta, affermativa, sembrerebbe scontata, ma una revisione, appena pubblicata su Jama Internal Medicine,  dimostra che non c’è nulla di così scontato.

Kamal Mahtani e colleghi dell’università di Oxford, hanno effettuato una revisione sistematica di nove studi (ma ne hanno vagliati oltre 2.500 prima di fare una selezione così severa) pubblicati sull’argomento, relativi ad un totale di 479 pazienti con scompenso cardiaco, arrivando alla conclusione che mancano evidenze certe per poter consigliare a questa tipologia di pazienti di limitare l’apporto di sale. Dunque, nonostante l’inveterata abitudine di prescrivere ai soggetti con scompenso cardiaco una dieta iposodica, mancano prove scientifiche che certifichino la correttezza di questo approccio.

Dati recenti suggeriscono che sarebbero almeno 26 milioni le persone affette da scompenso cardiaco nel mondo e che questa patologia è associata ad una significativa mortalità, ad un grave peggioramento della qualità di vita e ad importanti costi sanitari. Oltre alla terapia farmacologia e con device, a questi pazienti viene in genere consigliato di ridurre l’apporto di sale dietetico. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Oxford è andato a setacciare vari database bibliografici (Cochrane, Medline, Embase, CINAHL) alla ricerca di studi clinici sull’argomento ‘sale e scompenso cardiaco’. L’endpoint primario che i ricercatori inglesi avevano deciso di considerare era rappresentato da  mortalità cardiovascolare, mortalità per tutte le cause, effetti indesiderati quali ictus e infarto. Gli endpoint secondari comprendevano invece ricoveri, durata del ricovero, modifiche di classe NYHA, aderenza alla dieta iposodica, variazioni pressorie…”

Per continuare a leggere la news originale:

Fonte: “Scompenso cardiaco: forse la dieta iposodica non serve. In discussione uno dei dogmi della terapia cardiologica”, Quotidiano sanità

Tratto dahttp://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=68911