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20 ottobre – ‘European Depression Day’, la musica come supporto al benessere mentale ma a volte “complice” della depressione

Il 20 ottobre si celebra l’European Depression Day, coordinata in Italia da EDA Italia Onlus e ispirata al titolo «Luce sul male oscuro»

La musicoterapia rappresenta un’opportunità di cura complementare ad altri trattamenti più standardizzati offerti da numerose realtà, anche ospedaliere. Non è raro trovare in tutta Italia progetti che includono la musicoterapia poiché questo approccio può aiutare a gestire disturbi comunicativo relazionali, può essere affiancato alle sedute classiche di psicoterapia per la gestione del paziente psichiatrico, può giovare alle funzioni cognitive di pazienti con demenza.

Dagli studi a disposizione è emersa una certa utilità della musicoterapia nella riabilitazione dei soggetti colpiti da afasia, ma più in generale si può tentare questo approccio, con buoni risultati, per ridurre i livelli di ansia e favorire l’accettazione delle terapie convenzionali nei malati oncologici, migliorare l’effetto dell’anestesia in chi deve sottoporsi a interventi chirurgici, favorire lo sviluppo neurocomportamentale nei nati prematuri.

Il parere della psicologa: ottima se combinata con altre terapie  

«In tema di depressione, e in particolare riguardo alla depressione negli anziani, esistono conclusioni promettenti rispetto all’ efficacia dell’intervento musicoterapico nella riduzione della sintomatologia depressiva, ma vi è l’esigenza di poter disporre di studi che siano più “strong”, dal punto di vista della qualità della metodologia utilizzata- chiarisce Federica Galli, Psicologo Clinico presso l’ASST SS.Paolo e Carlo di Milano e Ricercatore presso l’Università di Milano – In una revisione sistematica recente della letteratura si conclude che la musicoterapia in associazione con le terapie convenzionali per la depressione funzionerebbe molto meglio per ridurre la sintomatologia ansioso-depressiva e migliorare il funzionamento complessivo dei pazienti con depressione se confrontata all’efficacia delle sole terapie tradizionali.

Anche se non sappiamo se la musicoterapia funzioni quanto la psicoterapia, abbiamo dati sicuramente promettenti riguardo la sua efficacia. Sono però necessari più studi, con follow-up più lunghi, perché manca l’esatta comprensione rispetto a quale forma di musicoterapia funzioni meglio rispetto alla riduzione del sintomo depressivo, il ruolo del musicoterapeuta e l’esatto meccanismo che ne sostanzia l’efficacia. Dai dati disponibili, inoltre, sembra che l’utilizzo della musicoterapia in pazienti con depressione, affetti contemporaneamente da demenza, sia particolarmente efficace. Questa, per esempio è un’evidenza clinica che andrebbe approfondita».

La musicoterapia nella psicosi  

Un altro ambito di applicazione per la musicoterapia è nella gestione della psicosi come spiega ancora la ricercatrice: «L’intervento musicoterapico può migliorare lo stato mentale, e il funzionamento globale di questi pazienti. Dagli studi a disposizione su questo aspetto sappiamo che i pazienti psicotici non necessitano di competenze musicali per potere ottenere i benefici di un intervento musicoterapico. Le evidenze suggeriscono, però, l’importanza per questi pazienti di essere seguiti per lungo tempo, con delle sessioni di musicoterapia regolari e di durata prolungata».

Applicazioni in psicoterapia  

La dott.ssa Galli, in qualità di psicoterapeuta, tiene a sottolineare infine come:«La psicoterapia implica una buona motivazione del paziente a far parte di un processo di cambiamento. Per quei pazienti privi di motivazione a intraprendere un percorso psicoterapeutico, la musicoterapia può sicuramente rappresentare un contributo valido nella direzione di un cambiamento terapeutico, soprattutto se in associazione con le più tradizionali terapie farmacologiche, vista l’efficacia dimostrata nei termini di miglioramento complessivo del funzionamento emotivo e relazionale».

Quando la musica diventa «motivo» di depressione  

Ma se la musica può rappresentare in alcuni contesti e utilizzata in modo mirato, un valido aiuto per migliorare le condizioni mentali di persone sofferenti, allo stesso modo, ma in senso opposto, essa è protagonista nella vita di artisti che sono precipitati in forti depressioni e che hanno anche conosciuto tragici destini.

La lista di dolorose perdite di musicisti e cantanti con disturbi depressivi è purtroppo molto lunga. Mariah Carey, Beyoncé, Selena Gomez, Justin Bieber hanno pubblicamente ammesso di soffrirne. Dolores O’Riordan, la voce dei Cranberries, morta tragicamente di recente, ha rivelato al grande pubblico di essere stata abusata sessualmente da molto piccola e di soffrire anche di depressione e disturbo bipolare.

Amy Winehouse, definita come una delle voci più belle del jazz e scomparsa suicida giovanissima, ha vissuto la sua breve esistenza convivendo con depressione, problemi di abuso di droga, alcol e disordini alimentari.

«La nostra società impone alti standard e velocità di esecuzione, non aiuta le persone a prendersi momenti per sé, di auto-osservazione e di riflessione e consapevolezza personale – spiega la dottoressa Sharon Vitarisi Psicologa e membro dell’associazione EDA ITALIA Onlus. – Si parla spesso, nel gergo comune, di “ansia da palcoscenico” non di “depressione da palcoscenico”. In realtà, entrambe giocano un ruolo determinante nell’attribuzione personale di pensieri automatici che riguardano il timore dell’errore, del giudizio e dell’attivazione fisiologica in cantanti e musicisti o in persone che svolgono lavori particolarmente stressanti, a stretto contatto con il pubblico, di sentimenti quali l’ansia da prestazione, di steccare o comunque di non riuscire in qualcosa per il quale sono amati e ammirati dal loro pubblico».

Il caso Avicii  

Si può cercare di comprendere un po’ di più, perché la depressione è così comune nel mondo della musica riflettendo sulla scomparsa presumibilmente per suicidio, anche del dj Avicii, morto nell’aprile di quest’anno, come invita ancora a fare la dottoressa Vitarisi: «Nel documentario sulla sua vita e sulla sua carriera, “Avicii: The true story”, si può osservare un artista sempre più tormentato da pensieri negativi, ansia e sintomi depressivi che sfociano in comportamenti auto lesivi, come l’utilizzo di alcool e psicofarmaci per alleviare il malessere mentale e corporeo che lo affiggono.

Dalla visione del documentario è palpabile un alto grado di preoccupazione per i sintomi somatici dovuti allo stress che lo stesso artista cerca di sopprimere con l’abuso di alcool. L’assunzione di un atteggiamento di questo tipo permette, in generale, un sollievo apparente dall’ansia e dai pensieri auto svalutanti, ma a lungo termine determina una perdita di consapevolezza di sé, del proprio corpo e delle proprie emozioni».

Per questo la dottoressa osserva anche che: «Il riconoscersi e avere una buona padronanza dei propri stati mentali pensieri ed emozioni, invece, permette di difendersi e chiedere aiuto nei momenti di necessità. “Cavoli, non me l’avevate detto che avevo la pressione bassa!” ha esclamato Avicii all’interno del documentario, questo denota presumibilmente una scarsa capacità di percepire le sue difficoltà e quindi attuare dei comportamenti di cura e prevenzione»…”

Per continuare a leggere la news originale:

Fonte: “La musica come supporto al benessere mentale. Ma a volte “complice” della depressione”, LA STAMPA SALUTE

Tratto dahttp://www.lastampa.it/2018/10/18/scienza/cos-la-musicoterapia-pu-essere-di-supporto-al-benessere-mentale-xTbrunnUA3g7oyz8pfBj2N/pagina.html