Malattie Rare – Il futuro della ricerca nella genetica, ma anche nei farmaci “vecchi” da utilizzare per nuove indicazioni terapeutiche
“Già oggi, per almeno un terzo delle circa 7000 malattie rare, è stato identificato il difetto molecolare insieme a un’accurata eziologia che ha dato il via a terapie personalizzate. Ma cosa fare per quelle malattie rare la cui causa non è attribuibile a un singolo gene ma a più geni? Una risposta potrebbe venire dal riposizionamento dei farmaci, che si basa sul principio di utilizzo di un farmaco “vecchio” per nuove indicazioni terapeutiche, comprese le malattie rare
Nell’ultimo decennio sono stati compiuti notevoli progressi nell’individuazione dell’origine genetica delle malattie rare, ovvero quelle malattie per cui si registrano 5 casi su 10 mila persone (circa 2 milioni in Italia, di cui il 70% bambini). Un risultato ottenuto grazie all’avanzamento di nuove tecniche diagnostiche basate sul genoma, al supporto delle associazioni dei pazienti, delle aziende farmaceutiche e anche grazie alle nuove politiche delle agenzie di regolamentazione, soprattutto per quanto concerne la sperimentazione di nuovi farmaci.
Ad oggi, per almeno un terzo delle circa 7000 malattie genetiche rare sono stati identificati il difetto molecolare ed una precisa ed accurata eziologia. Ma molto lavoro resta ancora da fare, soprattutto per le patologie la cui causa non è attribuibile ad un singolo gene mutato ma a più geni, come le alterazioni da varianti strutturali che talvolta coinvolgono più geni anche mappati su cromosomi diversi.
Dal punto di vista terapeutico la conoscenza del difetto molecolare ha permesso di sviluppare protocolli personalizzati di terapia genica – che prevedono l’intervento mirato su tale difetto – e di sintetizzare e validare farmaci specifici per la sua correzione. Questi approcci, oltre alla conoscenza approfondita del dato molecolare, prevedono una piena comprensione del meccanismo patogenetico che porta all’espressione del fenotipo patologico. La terapia genica ha quindi lo scopo di correggere il gene-malattia attraverso il trasferimento di materiale genetico all’interno del nucleo cellulare. Il principio è quello di utilizzare il DNA come “farmaco” per rimuovere in maniera permanente un’alterazione del genoma, oppure per esprimere in modo temporaneo copie funzionali di un “gene terapeutico”.
L’Agenzia Europea del Farmaco (EMA) definisce un prodotto di terapia genica come “un medicinale biologico che soddisfa le seguenti caratteristiche: contiene una sostanza attiva (un DNA modificato) che viene somministrata ad un essere umano con lo scopo di regolare, riparare sostituire aggiungere o eliminare una sequenza genetica”.
Nel 1990, Martin Cline usò per la prima volta DNA ricombinante in protocolli di terapia genica per la cura della beta talassemia, sottoponendo due pazienti a trasfusioni di cellule estratte da midollo osseo. Nel 1995, Michael Blaese fu il primo a condurre un trial clinico usando un gene a scopi terapeutici per la cura del deficit dell’adenosinana deaminasi (ADA-SCID). Da quell’anno la terapia genica ha subito una forte accelerazione fino però alla tragica morte di Jesse Gilsinger, un paziente che a 18 anni prese parte ad un protocollo di terapia genica per la cura del deficit di ornitina transcarbamilasi (OTC), ma ebbe una violenta e letale reazione immunitaria ad una dose alta di adenovirus, il virus-navetta utilizzato per trasportare il gene-terapeutico.
I vettori virali oggi risultano essere quelli più efficaci entro certi limiti, in quanto possono scatenare una risposta immunitaria da parte dell’organismo ospite. In alternativa ai vettori virali, negli ultimi anni, sono state sviluppate nuove tecniche in grado di correggere direttamente in situ il gene difettoso attraverso lo scambio di porzioni omologhe di DNA esogeno con quello genomico del paziente. Tale metodica, definita di “gene targeting”, è attesa con grande speranza dai pazienti con malattia rara dovuta a mutazioni di un singolo gene. I vantaggi del gene targeting in protocolli di terapia genica sono diversi.
La correzione del difetto genico avviene in modo specifico al locus genomico difettoso, quindi può essere applicato nella cura di tutte le malattie genetiche indipendentemente dalle dimensioni del gene. La correzione è permanente, e permette di conservare l’integrità del gene, cioè mantiene invariati gli “interruttori” del gene stesso lasciando intatti i meccanismi di regolazione. La tecnologia del gene editing è stata con successo sperimentata in provetta e su molti modelli animali ed approvata a scopo sperimentale per la talassemia, l’emofilia e altre malattie monogeniche.
La ricerca per la cura delle malattie rare non si limita soltanto alla terapia genica, ma include anche l’identificazione di nuovi farmaci. Ma quanto ci vuole a scoprire un nuovo farmaco? Per le 7000 malattie rare che oggi conosciamo abbiamo a disposizione circa 400 farmaci che sono stati approvati per il loro per il trattamento. All’attuale tasso di ricerca e sviluppo di un farmaco è stato calcolato che ci vogliono circa 500 anni per avere farmaci per tutte le malattie rare! Un orizzonte temporale inaccettabile, per i malati e per gli studiosi di oggi.
Serve quindi una strategia innovativa, ma quale? La risposta potrebbe venire dal riposizionamento dei farmaci, che si basa sul principio di utilizzo di un farmaco “vecchio” per nuove indicazioni terapeutiche. Un approccio e una metodica oggi possibile grazie alle conoscenze molecolari delle malattie che permettono di identificare nuovi “bersagli” mediante analisi al computer (grazie alla bioinformatica), in vitro e in vivo su modelli animali “ingegnerizzati” ad hoc per riprodurre la malattia umana con la stessa mutazione nell’animale da laboratorio. ..”
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Fonte: “Malattie Rare. Il futuro della ricerca? Nella genetica, ma anche nei farmaci “vecchi” da utilizzare per nuove indicazioni terapeutiche”, Quotidiano sanità
Tratto da: http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=59441