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Epidermolisi bollosa e Marfan – Le parole di Riccardo, “ragazzo farfalla”

Il “ragazzo farfalla operato al cuore a Mantova scrive: “Io sono veramente ancorato alla vita. Il contatto quotidiano con il mondo esterno è ciò che rafforza in noi malati il corpo, la mente e l’animo, perché ogni ostacolo che si frapponga sul nostro cammino può essere superato, affinché sia anche d’insegnamento per noi stessi e per gli altri”

MANTOVA. Sono nato il 14 gennaio 1998, ho tre fratelli (Edoardo, Elisabetta, Eleonora), una madre Fulvia e un padre Giuliano: siamo una famiglia normale. O quasi. Fin dalla nascita, infatti, sono affetto da due malattie genetiche rare, l’Epidermolisi Bollosa e la Sindrome di Marfan. La prima rende così fragile il tessuto cutaneo (come una sottilissima lastra di vetro o come le ali di una farfalla – la creatura a cui sono accomunati tutti quelli che hanno questo tipo di problematica) che basta un niente per rovinarlo; la seconda colpisce la valvola aortica e l’aorta, la più grande arteria del corpo umano, rendendo flessibili i loro tessuti e provocando un allargamento delle pareti più del normale (come se fosse una camera d’aria gonfiata eccessivamente). E se questa si distingue per l’allungamento della forma corporea, l’altra al contrario tende a fondere gli arti (tranelli della genetica e fardelli dello spirito).

Sono due malattie che restringono il campo di vedute dei progetti futuri, dei desideri che vorresti realizzare all’istante, dei sogni a cui ambisci; due malattie che ti costringono a rinunciare a qualcosa onde evitare qualche danno; due malattie (ma come ogni altra) che non ti danno nell’immediato la gioia di vivere. Ma se ci fermassimo a questo panorama di disperazione, disgrazia, spavento, di certo non sarei qui a parlarvi; anzi, ora starei vivendo i miei giorni in una “gabbia dorata”, tra le quattro pareti di una stanza (forse addirittura quella da letto), con mille paure, mille paranoie e altrettanti tentennamenti e con l’unico pensiero assillante di non riuscire più a trovare delle cure o dei sollievi. Il contatto quotidiano con il mondo esterno è ciò che rafforza in noi malati il corpo, la mente e l’animo, perché ogni ostacolo che si frapponga sul nostro cammino può essere superato, affinché sia anche d’insegnamento per noi stessi e per gli altri. Se vogliamo dirla con onestà, la malattia nel suo bene dà la forza, la grinta, la determinazione per non arrendersi e soccombere al più grande incubo, che è la non vita (o la morte).

Io sono talmente ancorato alla vita che è veramente arduo pensare al suo opposto, forse perché sono nato già malato o forse perché non ho conosciuto direttamente il supplizio di una persona che si vede costretta a cambiare il viaggio della propria esistenza a causa di qualche malattia, penserete voi.

Vi racconto un piccolo, ma significativo aneddoto: la mia famiglia ha conosciuto una donna che nel 2015 ha scoperto di avere un tumore al seno e ha cercato di curarsi in tutti i modi possibili, fino a quando nel giugno 2016 le cose non sono peggiorate. Da quel giorno è iniziato un calvario che è durato tre mesi: la conseguente mancanza di forze nei muscoli, i lamenti, i conati di vomito, gli attacchi epilettici che prima mai aveva avuto, la cecità non erano altro che dei flagelli a cui lei però cercò di reagire con tutto quello che le rimaneva perché non accettava di essere sconfitta.

Il giorno dopo il suo ventesimo anniversario di matrimonio e con un mese d’anticipo dal suo cinquantesimo compleanno lasciava così un marito, quattro figli, una madre, un fratello e tutti quelli che le erano attorno. Quella donna non era altri che nostra madre. La sua mancanza ha messo alla prova noi tutti, dal primo all’ultimo, nei giorni successivi, quanto è naturale il fatto che proprio la persona in tutta la famiglia con cui avevi legato di più viene a mancare e ti ritrovi improvvisamente sulle spalle un certo carico di responsabilità a cui prima d’ora non avevi fatto caso.

Ogni giorno dal mattino alla sera ci mettiamo in rapporto con la concretezza e mai ci viene l’idea che questa possa avere un termine (ed è forse per questo che non esprimiamo mai il nostro riconoscimento); quando poi realizzi che c’è un limite a tutto, allora è il momento di fare il grande salto. Ma vi garantisco che anche per chi ha fede, come me e la mia famiglia, questi momenti strazianti mettono in dubbio qualsiasi cosa, Dio, la natura, la malattia…

Eppure, sono il ricordo e l’amore che riescono a tenere vivida la presenza di chi ci ha lasciato: il primo ci dà la capacità di non dimenticare, l’altro è la forma dell’infinito dato dalla vicinanza delle fedi nuziali e da quella promessa che rimarrà in eterno. È da queste gocce di sollievo che riprendiamo il nostro cammino: siamo ancorati nel presente, proiettati nel futuro, memori del passato».

Questo non è che la punta di un iceberg, il sunto superficiale di un’opera che da qualche anno sta prendendo forma e si spera possa concludersi il più presto possibile così da poter scoprire quanto ancora ho da comunicare e quanto la vita significhi gioia e dolore, speranza e disperazione, ma noi non ne possiamo fare a meno…”

Per continuare a leggere la news originale.

Fonte. “Le parole di Riccardo: “La malattia nel suo bene dà la forza e la grinta”, ” GAZZETTA DI MANTOVA

Tratto dahttp://gazzettadimantova.gelocal.it/mantova/cronaca/2018/01/23/news/le-parole-di-riccardo-ragazzo-farfalla-operato-al-cuore-a-mantova-la-malattia-nel-suo-bene-da-la-forza-e-la-grinta-1.16386571