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Pazienti psichiatrici in affido – Progetto I.E.S.A (Inserimento Eterofamiliare Supportato di Adulti)

Con le nostre telecamere siamo andati a conoscere una della famiglie che hanno aderito al progetto I.E.S.A. Filomena, già tre volte mamma, ci racconta la convivenza con il suo ospite

A Collegno, comune a 12 chilometri da Torino, vive una delle famiglie piemontesi che hanno aderito al progetto I.E.S.A (Inserimento Eterofamiliare Supportato di Adulti). Il sistema ha antichissime origini storiche in Belgio e si è poi diffuso capillarmente nel Regno Unito, in Germania, in Francia e, dal 1997 anche in Italia, grazie all’iniziativa del dottor Gianfranco Aluffi e al lavoro della AslTo3 che ora, soprattutto dopo il riconoscimento ufficiale da parte della Regione, sta operando per sviluppare il modello presso tutte le ASL del territorio nazionale.

Con lo I.E.S.A le persone con disturbi psichici o cognitivi, ma anche i portatori di altri disagi quali la tossicodipendenza, possono essere accolte all’interno di nuclei familiari di volontari che hanno offerto la loro disponibilità per questo tipo di servizio. Le famiglie sono selezionate dagli operatori dello IESA che sono appositamente formati (si tratta per la maggior parte di psicologi o comunque di figure specializzate in campo sanitario e poi istruite nello specifico dal gruppo già in azione in questi ambiti).

Ciascun operatore segue almeno 10 progetti, si occupa cioè personalmente di curare e monitorare l’inserimento del paziente all’interno della famiglia scelta. Anche di intervenire, a qualsiasi ora del giorno e della notte, nel caso si presentassero criticità di qualunque tipo. I pazienti accolti sono di tutte le età e soffrono di disturbi di vario genere. Per alcuni di loro la gestione da parte degli ospitanti può essere più complessa: nel caso degli anziani per esempio, occorre provvedere ad una assistenza che tenga conto della eventuale mancanza di autosufficienza. Viceversa, nel caso di «inquilini» più giovani, chi ospita potrebbe dover affrontare richieste di uscite serali, oppure l’arrivo in casa di nuove amicizie.

Le linee guida di questa complessa attività, sono illustrate in un manuale di recente pubblicazione, «Dymphna’s Family», edizione italiana della rivista europea sullo I.E.S.A. La AslTo3 ne diffonde i contenuti tramite varie strategie di marketing e anche più semplicemente sui social media, con l’intento di divulgare questo tipo di approccio al disagio umano.

Fra i responsabili del gruppo di lavoro della AslTo3 c’è la dottoressa Catia Gribaudo, da dieci anni in forze al progetto. La sede del suo ufficio si trova in uno dei padiglioni dell’ex manicomio di Collegno, quello che molti ricorderanno come il più grande e «famigerato» ospedale psichiatrico d’Italia. La gigantesca struttura, dalle caratteristiche architettoniche sontuose e quasi affascinanti, è in piedi ancora oggi. Vi si può entrare, per poi camminare liberamente attraverso gli enormi cortili, fra alberi secolari, fino a raggiungere il chiostro con l’antico pozzo e proseguire sotto imponenti colonnati.

L’atmosfera è surreale, c’è un grande silenzio, rotto soltanto dal frusciare dei rami e dal sibilo del vento che soffia tra le grate di ferro inchiodate alle finestre dei vari edifici. Si sa che le mura di questo luogo sono state testimoni, in un passato neppure troppo lontano, di indicibili sofferenze umane e questo pensiero accompagna ad ogni passo il visitatore.

La funzione «sanitaria» di questa struttura è cessata definitivamente nel 1980 in seguito all’approvazione della legge Basaglia e oggi alcuni suoi locali sono sede di uffici comunali e aule universitarie. La vecchia lavanderia è stata sapientemente ristrutturata e adesso ospita una scuola di canto.

A Collegno, gli abitanti di una certa età, ricordano bene quel tempo in cui il manicomio era aperto e pieno zeppo di gente. Quando raggiungeva il massimo della sua capienza, aveva circa 4 mila ricoverati. Uomini, donne e bambini. Alcuni di questi non erano neppure malati, ma venivano sistemati nella Certosa perché i genitori erano indigenti e non potevano mantenerli.

Un’amara memoria per questa città. Ecco perché può avere anche il sapore di un riscatto morale l’impegno dello I.E.S.A e di tutte le famiglie che hanno scelto di aderire al progetto…”

Per continuare a leggere la news originale:

Fonte: “Pazienti psichiatrici in affido: “Così ho accolto Roberto che ora amo come un figlio””, LA STAMPA SALUTE

Tratto dahttp://www.lastampa.it/2018/01/22/scienza/benessere/pazienti-psichiatrici-in-affido-cos-ho-accolto-roberto-che-ora-amo-come-un-figlio-UmRnW18MmM3PnSW2t8m96J/pagina.html