Ricerca su Alzheimer e Sistema nervoso centrale (Snc) – Rischio di fallimento alto
“Sviluppare farmaci per il Sistema nervoso centrale non è più attrattivo per le aziende del pharma che in questi anni hanno chiuso divisioni e convogliato fondi su altre aree. Tanto da portare alcuni ricercatori a chiedere nuovi incentivi per il settore. Eppure qualcosa si potrebbe fare, a partire dalla statistica
Divisioni di ricerca chiuse, trial falliti con perdite di centinaia di milioni di euro, minori fondi destinati alla sperimentazione. È la situazione che da diversi anni fa da cornice alla ricerca sull’Alzheimer e Snc. E il conseguente sviluppo di nuovi farmaci del sistema nervoso centrale (Snc). Un esempio su tutti il caso del solanezumab, molecola anti-Alzheimer sviluppata da Eli Lilly che nonostante le alte aspettative non ha superato i test di Fase III con un aggravio stimato di 150 milioni di dollari per la società.
Troppe energie pochi ricavi
Sviluppare medicinali per trattare le malattie del cervello insomma, è sempre meno attrattivo: è più difficile, richiede più tempo e un maggior dispendio di fondi rispetto ad altre aree terapeutiche. La situazione è talmente critica che qualche anno fa un gruppo di ricercatori, con un articolo pubblicato su Neuron, avanzò la proposta di ricevere nuovi incentivi per il settore. Come per esempio un’approvazione regolamentare accelerata. Quasi al pari delle agevolazioni concesse per le malattie rare, per lo sviluppo di nuovi antibiotici in tempi di antibioticoresistenza o per le sperimentazioni pediatriche. Ma è davvero la scelta giusta?
La perdita di “fascino”
Che si parli di clinical trial in fase iniziale o avanzata, a partire dagli anni ‘90 il comparto del Snc ha registrato un netto calo. Nel 1990 su 125 nuovi studi di Fase I, 14 riguardavano farmaci del sistema nervoso centrale (11%) al pari di quelli in oncologia. Mentre nel 2012 i primi erano scesi al 7% con 19 trial su 286 e i secondi balzati al 20%, secondo un lavoro pubblicato su Nature reviews drug discovery basato sull’analisi del database Pharmaprojects.
Inoltre se in Fase I e II non vi erano sostanziali differenze nella probabilità di progressione dei prodotti sviluppati nell’area del Snc e in tutte le altre, la probabilità di aver successo e passare dalla Fase III al deposito della registrazione, scendeva del 45% per i primi rispetto agli altri. Nel periodo di tempo esaminato i ricercatori hanno identificato 70 interruzioni degli studi clinici per i farmaci del Snc in Fase III. Dovute per il 46% dei casi a una efficacia non adeguata, seguita da problemi di sicurezza (11%) e motivi finanziari (7%). Da qui la necessità secondo gli autori di destinare più fondi per la ricerca di base e traslazionale. Ma anche di creare nuove partnership per aumentare il numero di attori coinvolti in un clinical trial.
Bisogna decodificare il network neuronale
“Da anni non abbiamo nuovi farmaci – spiega Giovanni Biggio ordinario di Neuropsicofarmacologia all’Università degli Studi di Cagliari – soprattutto perché ancora non sappiamo esattamente come funziona il cervello. Negli ultimi vent’anni le conoscenze sono aumentate tantissimo ma i farmaci più recenti si basano sempre sugli stessi meccanismi. La vortioxetina per esempio è l’ultimo antidepressivo arrivato in commercio lo scorso anno, ma si diversifica solo per la sua azione sul glutammato (che sembra avere un valore importante per l’aspetto cognitivo più che per l’azione antidepressiva), per il resto sfrutta sempre il blocco del reuptake della serotonina come i vecchi Ssri (Selective serotonin reuptake inhibitors). Non riusciamo ad avere nuove molecole perché non riusciamo a decodificare il network neuronale”.
Investire in ricerca di base
“Bisogna continuare a investire soldi nella ricerca di base – continua Biggio – per questo progetti come lo Human Connectome Project o lo Human Brain Project finanziati dal National Institutes of Health (Nih) americano sono molto importanti: perché un domani (lontano) porteranno a decifrare il funzionamento cerebrale e a sviluppare nuovi e rivoluzionari prodotti. Oggi però lo stesso Nih ha tagliato i fondi destinati alla ricerca sulla schizofrenia per dedicarli all’oncologia che sta dando risultati più immediati. Non c’è da stupirsi se le aziende preferiscono investire soprattutto dove vedono sbocchi più immediati”.
Dipende tutto dalle fasi iniziali
Tra il 1995 e il 2014 l’European medicines agency (Ema) ha ricevuto 103 richieste di autorizzazione per nuovi farmaci o nuove indicazioni: 57 in ambito neurologico e 46 in psichiatria secondo un lavoro pubblicato su Nature reviews drug discovery. Di questi un terzo ha mostrato problemi di efficacia e oltre la metà problemi di sicurezza. Nel dettaglio i ricercatori scrivono che nel 37% dei trial condotti per lo sviluppo di farmaci psichiatrici e nel 46% di quelli che riguardano la neurologia, sono stati riscontrati problemi di evidenza clinica (mancante o poco chiara), dose, farmacocinetica e farmacodinamica. Nel gruppo di applicazioni in difficoltà con l’esito dello studio (efficacia e sicurezza) oltre la metà (54%) aveva sofferto già nelle fasi iniziali della ricerca.
I motivi del fallimento della ricerca sull’Alzheimer e Snc
In generale il 91% dei programmi di sviluppo che hanno avuto problemi nelle fasi iniziali, li hanno avuti anche nelle fasi successive di efficacia o sicurezza. Il buon andamento di uno studio clinico sembra quindi dipendere totalmente dall’impostazione delle fasi primarie del clinical trial. Le due aree terapeutiche hanno inoltre mostrato delle differenze per quanto riguarda gli elementi che hanno determinato il fallimento: la selezione della popolazione, il beneficio clinico, la sicurezza e la dose hanno avuto un impatto più determinante in psichiatria; mentre in neurologia sembrano contare di più l’incapacità di raggiungere l’end-point primario, la sicurezza e la mancanza di adeguati studi di farmacocinetica e farmacodinamica.
L’importanza della selezione del campione
“La diagnosi è senza dubbio una delle maggiori difficoltà in psichiatria – continua Biggio – e di conseguenza è più difficile selezionare la popolazione giusta. Se vengono arruolate persone che non soffrono di depressione grave – ma hanno per esempio disturbi comportamentali o il tono dell’umore un po’ basso senza raggiunge la soglia patologica – il farmaco può non servire. In questi casi i pazienti possono stare meglio anche con il placebo, perché se non hanno una depressione endogena patologica basta una situazione positiva per aiutarli. Così la terapia farmacologica risulta inutile: ma perché è sbagliata la popolazione in studio”.
Anche la statistica ha la sua parte
Parte delle colpe probabilmente va anche alla statistica: o per lo meno al modo in cui la si interpreta. I trial di fase III si basano sui dati di studi precedenti e spesso falliscono proprio per la bassa potenza dei risultati. “Nelle prime fasi di una sperimentazione vengono considerate numerosità campionarie non elevate – spiega Vincenzo Bagnardi che insegna Statistica medica all’Università degli Studi di Milano-Bicocca – il problema è che anche in presenza di risultati positivi e statisticamente significativi (solitamente con p-value >0.05) sono molto elevate le probabilità che il risultato trovato sia sovrastimato e maggiore di quello reale. L’errore poi si amplifica ogni volta che si sommano studi di questo tipo. I trial successivi di conseguenza possono fallire perché si basano su aspettative troppo alte, date dai risultati precedenti troppo ‘ottimistici’”.
La mancata pubblicazione dei dati
Un secondo problema è senza dubbio la mancata pubblicazione di tutti i lavori scientifici, anche quelli negativi e la selezione solo degli studi significativi: “Se venissero resi noti tutti i dati forse si riuscirebbe a distinguere meglio un falso positivo da un risultato reale e sarebbe più facile intuire il grado di fallibilità di un trial” continua Bagnardi.
Le soluzioni
La prima soluzione che potrebbe venire in mente è quella di utilizzare p-value più basso – intorno allo 0.003-0.001 – che riducano il margine di errore. Ma la statistica non è così scontata. In realtà in questo modo diminuirebbe drasticamente la possibilità di portare avanti un’eventuale scoperta. Addirittura in Fase II si utilizzano anche dei p-value maggiori di 0.05. “Ciò perché si cerca di trovare qualcosa per andare avanti con la sperimentazione, anche rischiando di scontrarsi con un falso positivo. Bisognerebbe forse agire più sulla numerosità campionaria, aumentandola anche nelle fasi non avanzate di sviluppo di un farmaco”…”
Per continuare a leggere la news originale:
Fonte: “Ricerca sull’Alzheimer e Snc: il rischio di fallimento è alto”, ABOUTPHARMA
Tratto da: https://www.aboutpharma.com/blog/2018/01/09/475104/