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Alzheimer – La ricerca procede. Screening genetico per ritardare o addirittura impedire sviluppo malattia

A cura del prof. Alessandro Padovani, Direttore Clinica Neurologica Università di Brescia

Anche in tempo di Covid, la ricerca sulla Malattia di Alzheimer non si ferma. Anzi, nonostante il clamore suscitato in tutto il mondo dalla pandemia, sono molte le novità emerse in questo ultimo anno sia dal punto di vista dei fattori di rischio, sia dal punto di vista diagnostico, sia dal punto di vista terapeutico e il prossimo Convegno Nazionale della Società Italiana di Neurologia sarà un’occasione importante per discutere su dove sta andando la ricerca internazionale e nazionale soprattutto nell’ambito della Malattia di Alzheimer e della altre principali forme di demenza.

Un primo dato interessante riguarda gli studi di incidenza. Già era stato osservato che, a parità di età, nei paesi occidentali vi è una progressiva riduzione dell’incidenza a fronte di un aumento della prevalenza. Si stima infatti che attualmente nel mondo siano più di 130 milioni i pazienti affetti da demenza e più della metà da Malattia di Alzheimer.

A fronte di ciò, secondo uno studio condotto dal gruppo di Laura Fratiglioni, a parità di età il numero di malati si è ridotto negli ultimi 10 anni del 20%. Il paradosso è solo apparente. Infatti, migliori cure unitamente all’incrementato tasso di scolarizzazione e alfabetizzazione hanno allungato l’aspettativa di vita e il tasso di invecchiamento della popolazione, e quindi il numero di persone anziane, ma hanno favorito un maggiore stato di salute e un minor rischio di sviluppare demenza.

A tal riguardo uno studio pubblicato su Lancet pochi mesi fa da Gill Livingston e collaboratori ha permesso di fare il punto sui diversi fattori di rischio associati alla Malattia di Alzheimer e sulla possibilità di poter prevenire la Malattia attraverso un controllo o un intervento attivo su di essi.

Oltre ai già citati fattori di rischio cardiovascolari, che includono diabete, ipercolesterolemia, ipertensione arteriosa, obesità, lo studio ha individuato diversi altri possibili bersagli quali la sedentarietà, il fumo di sigaretta, l’eccessivo consumo di alcool e di bevande zuccherate, oltre alla sordità, all’esposizione all’inquinamento ambientale, l’isolamento sociale e la depressione.

Questi sembrano i più rilevanti, ma diversi studi includono tra i fattori di rischio anche i disturbi del sonno e l’eccessivo uso di ansiolitici, una dieta eccessivamente ricca di carboidrati e di sale nonché una scarsa igiene orale.

Di notevole interesse un recente studio del gruppo di Bruno Vellas che sembra individuare in una bassa concentrazione plasmatica di vitamina D, vitamina B12 e di una bassa concentrazione di acidi grassi polinsaturi (vedi n-3 PUFA) gli indicatori più significativamente associati ad un decadimento cognitivo. Questa crescente mole di dati indica la necessità di attivare programmi di prevenzione attiva agendo sugli stili di vita e sulla somministrazione di integratori nutrizionali soprattutto nei soggetti a rischio.

La ricerca genetica ha fatto enormi passi avanti e stiamo procedendo verso il traguardo di caratterizzare i soggetti a rischio. Ad oggi, diverse indagini hanno permesso di individuare mutazioni e polimorfismi su numerosi geni, la cui combinazione potrebbe presto portare a un profilo di rischio. Fantascienza? Non proprio. In realtà, come avviene già per il cancro e per le malattie cardiache, lo screening genetico potrebbe aiutare a selezionare i casi nei confronti dei quali attivare un programma di sorveglianza e di intervento per ritardare se non addirittura impedire lo sviluppo della demenza…”

Per continuare a leggere la news originale:

Fonte: “Alzheimer, screening genetico per ritardare o addirittura impedire lo sviluppo della demenza”, insalutenews

Tratto da: https://www.insalutenews.it/in-salute/alzheimer-screening-genetico-per-ritardare-o-addirittura-impedire-lo-sviluppo-della-demenza/