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Parkinson – La Deep Brain Stimulation (DBS), per trattarlo e restituire autonomia ai malati

Prof. Alessandro Olivi, Ordinario di Neurochirurgia all’Università Cattolica campus di Roma e direttore dell’UOC di Neurochirurgia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS: “La recente introduzione degli stimolatori direzionali ha consentito di ottenere un trattamento ancora più mirato, riducendo gli effetti indesiderati della stimolazione e aumentandone l’efficacia”

Roma – Al morbo di Parkinson, una malattia antica della quale si conoscono i meccanismi ma non le cause e per la quale non c’è ancora una cura, né un modo per prevenirla, quest’anno è stata dedicata la Giornata mondiale del cervello, che si celebra tradizionalmente nel mese di luglio.

Le terapie farmacologiche disponibili per la cura del Parkinson si limitano a contrastare i sintomi della malattia, senza purtroppo rallentarne il decorso. Ai farmaci si sono affiancate di recente alcune tecniche chirurgiche che permettono di erogare stimoli elettrici in particolari aree del cervello, che bloccano i sintomi della malattia.

È la cosiddetta Deep Brain Stimulation (DBS), approvata per il trattamento del tremore da Parkinson e per il Parkinson in fase avanzata, all’inizio di questo secolo. La speranza è adesso di riuscire a rallentare la progressione della malattia attraverso la DBS. E sarebbe la prima volta nella storia del Parkinson.

“La chirurgia DBS – spiega il prof. Alessandro Olivi, Ordinario di Neurochirurgia all’Università Cattolica campus di Roma e direttore dell’UOC di Neurochirurgia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – consiste nell’impianto di due elettrodi ultrasottili (neurostimolatori) nella parte profonda del cervello, dove si trovano i nuclei della base, strutture anatomiche di pochi millimetri, cruciali per il controllo dei movimenti. Il neurochirurgo pratica due forellini nella calotta cranica, attraverso i quali inserisce gli elettrodi, secondo un percorso studiato in precedenza ‘a tavolino’; la traiettoria dell’elettrodo viene guidata da un sistema di ‘neuronavigazione’, che si avvale di immagini TAC intraoperatorie e consente di arrivare con precisione al bersaglio, senza lesionare altre strutture del cervello”.

Una volta posizionati gli elettrodi, questi si collegano a un generatore di impulsi, simile alla ‘pila’ di un pacemaker, che si posiziona in una tasca sottocutanea ricavata subito sotto la clavicola. Il neurologo provvede quindi a ‘tarare’ la stimolazione elettrica, fino a bloccare i messaggi ‘sbagliati’ del cervello che causano i disturbi del movimento (tremori anche importanti, bradicinesia, rigidità) tipici del Parkinson.

Dopo l’impianto, i pazienti vengono assistiti in un percorso di recupero motorio e sottoposti a monitoraggio ambulatoriale. I neurochirurghi lavorano a stretto contatto con l’Unità di Neurologia del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS (team dei Disturbi del Movimento) che comprende tra l’altro psicologi e fisioterapisti.

Quali pazienti con Parkinson sono candidabili alla DBS
La DBS è per ora riservata a chi non risponde più alla terapia o quando l’intensità degli effetti collaterali dei farmaci raggiunge livelli invalidanti…”

Per continuare a leggere la news originale:

Fonte: ” ‘Pacemaker’ cerebrali per trattare il Parkinson e restituire autonomia ai pazienti”, insalutenews

Tratto da: https://www.insalutenews.it/in-salute/pacemaker-cerebrali-per-trattare-il-parkinson-e-restituire-autonomia-ai-pazienti/