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Policitemia vera – Nei pazienti a basso rischio risulta più efficace nel controllo della malattia ropeginterferone alfa-2b rispetto alla flebotomia

Nello studio di fase 2 Low-PV, un numero maggiore di pazienti con policitemia vera (PV) a basso rischio trattati con ropeginterferone alfa-2b sono stati in grado di mantenere l’ematocrito a un livello pari o inferiore al 45% rispetto a quelli sottoposti ogni mese alla flebotomia. È quanto emerge dai risultati di un’analisi ad interim dello studio, prevista dal protocollo e presentata durante il 25° congresso dell’Associazione Europea di Ematologia (EHA), quest’anno tenutosi in modalità virtuale a causa della pandemia di coronavirus

L’84% dei pazienti trattati con ropeginterferone ha mantenuto i livelli di ematocrito ≤ 45% e non ha mostrato alcuna progressione della malattia, rispetto al 60% nel braccio trattato con la sola flebotomia. Questi risultati hanno portato il Data and Safety Monitoring Board a chiudere anticipatamente lo studio per la conclamata efficacia del trattamento sperimentale.

«Questa analisi ad interim ha dimostrato che ropeginterferone nei pazienti a basso rischio è più efficace nel mantenere l’ematocrito ai livelli target. Inoltre, otteniamo una migliore qualità di vita e l’obiettivo è stato raggiunto con una riduzione del fabbisogno di flebotomia» ha dichiarato Tiziano Barbui, Professore di Ematologia e direttore scientifico della Direttore Scientifico della Fondazione per la Ricerca FROM all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.

Tenere a bada il rischio di trombosi
Nei pazienti affetti da policitemia vera, il rischio di problemi cardiovascolari, tra cui una trombosi grave, aumenta di circa quattro volte quando i livelli di ematocrito superano il 45%. Per questo motivo, le linee guida ora raccomandano di cercare di mantenere i livelli di ematocrito del paziente al di sotto della soglia target di ≤ 45% per prevenire l’iperviscosità del sangue e le complicanze cardiovascolari.

La flebotomia mensile è l’attuale trattamento standard per i pazienti con policitemia vera a basso rischio – definito come un’età uguale o inferiore ai 60 anni e assenza di una storia di trombosi – per mantenere l’ematocrito ai livelli raccomandati.

Tuttavia, i ricercatori si sono chiesti se la flebotomia da sola fosse adeguata a mantenere i livelli di ematocrito, poiché negli studi nei quali si è analizzata l’associazione tra rischio cardiovascolare e livelli di ematocrito, solo la metà circa dei pazienti trattati con la sola flebotomia ha dimostrato di riuscire a mantenere i livelli di ematocrito target. Pertanto, Barbui e i colleghi si sono chiesti se l’aggiunta di trattamenti citoriduttivi potesse aiutare a contenere il rischio di trombosi.

Lo studio Low-PV
Lo studio Low-PV (NCT03003325) è un trial multicentrico di fase 2, randomizzato, che prevedeva di arruolare 150 pazienti adulti senza storia di eventi cardiovascolari, da assegnare in parti uguali al trattamento con ropeginterferone 100 μg, somministrato per via sottocutanea ogni 2 settimane, oppure alla flebotomia mensile. In entrambi i bracci era consentito anche il trattamento con acido acetilsalicilico…”

Per continuare a leggere la news originale:

Fonte: “Policitemia vera, nei pazienti a basso rischio ropeginterferone alfa-2b batte la flebotomia nel controllo della malattia. #EHA 2020”, PHARMASTAR

Tratto da: https://www.pharmastar.it/news//oncoemato/policitemia-vera-nei-pazienti-a-basso-rischio-ropeginterferone-alfa-2b-batte-la-flebotomia-nel-controllo-della-malattia-eha-2020-33001