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Tumori ovarici ricorrenti – Un PARP inibitore può migliorare i risultati dell’immunoterapia

La combinazione di niraparib e pembrolizumab è stata ben tollerata e ha mostrato una promettente attività antitumorale in pazienti con carcinoma ovarico ricorrente. E’ quanto emerge da uno studio di fase I/II pubblicati su JAMA Oncology. La combinazione è risultata attiva in diversi sottogruppi e i ricercatori affermano che richiederà ulteriori indagini

“Modelli preclinici, compresi quelli per il carcinoma ovarico, hanno dimostrato un effetto antitumorale sinergico tra i farmaci della classe del niraparib e gli anti-PD-1 indipendentemente dallo stato di mutazione BRCA o dall’espressione di PD-L1”, hanno scritto gli autori dello studio guidati da Panagiotis A. Konstantinopoulos, del Dana-Farber Cancer Institute di Boston. Questa sinergia potrebbe coinvolgere diversi meccanismi, inclusa la capacità degli inibitori di PARP di regolare l’espressione del PD-L1.

Il trial ha arruolato nove pazienti in una porzione di fase I e 53 pazienti in una coorte di fase II, tutte con carcinoma ovarico ricorrente, indipendentemente dallo stato di mutazione BRCA; 60 pazienti erano disponibili per l’analisi finale dell’efficacia. L’età media era di 60 anni e la maggior parte delle pazienti aveva un ECOG performance status di 0 (71%). Il numero medio delle linee terapeutiche precedenti era di 3, e il 63% in precedenza aveva ricevuto bevacizumab.

Dopo un follow-up mediano di 12,4 mesi, il tasso di risposta oggettiva confermata della coorte completa era del 18%; ci sono state 8 risposte parziali, e 28 pazienti avevano una malattia stabile, per un tasso di controllo della malattia del 65%. Venti pazienti hanno avuto una malattia progressiva. La durata mediana della risposta non è stata ancora raggiunta nello studio; 8 pazienti hanno avuto una risposta che durava più di 6 mesi, e 4 hanno ottenuto una risposta che durava più di 9 mesi.

Un’analisi dei sottogruppi ha trovato che la terapia combinata ha mostrato attività indipendentemente dallo stato di mutazione BRCA o dallo stato di deficit di ricombinazione omologo (HRD), con tassi di risposta oggettivi simili per tutte le popolazioni definite da biomarcatori. “Anche se abbiamo notato che i pazienti con meno linee di terapia avevano tassi di risposta più elevati rispetto a quelli con 3 o più linee precedenti, gli intervalli di confidenza si sono sovrapposti”, hanno sottolineato gli autori. “I tassi di risposta erano simili indipendentemente dalla terapia a base di platino o dal precedente trattamento con bevacizumab”…”

Per continuare a leggere la news originale:

Fonte: “Un PARP inibitore può migliorare i risultati dell’immunoterapia nei tumori ovarici ricorrenti?”, PHARMASTAR

Tratto da: https://www.pharmastar.it/news/oncoemato/un-parp-inibitore-pu-migliorare-i-risultati-dellimmunoterapia-nei-tumori-ovarici-ricorrenti–29857