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Malattie rare – Sessione “rarità”, intervento del Prof. Bruno Dallapiccola, le malattie rare tra criticità e prospettive

“Se da una parte le malattie rare si definiscono per la loro bassa frequenza, dall’altra il consistente numero complessivo di queste condizioni ne fa un problema sociale di notevole portata. Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù, è intervenuto nella sessione “rarità” che ha aperto i lavori del pomeriggio al convegno 4words 2019.

Sui criteri che definiscono le cifre – sia della frequenza che del numero di malattie rare – non c’è totale accordo: se da una parte per gli Stati Uniti esse colpiscono 1 persona su 1500, per il Giappone 1 su 2500 e per l’Europa 1 su 2000, dall’altra le 6-8000 condizioni rare classificate a livello mondiale includono i 350 tumori rari che non sono, al contrario, inclusi nella classificazione italiana. Complessivamente, i numeri di persone affette da patologie rare vanno dal milione o più dell’Italia ai 350 milioni a livello globale. Da qui, ribadisce Dallapiccola, la dimensione sociale del problema posto dalla rarità. Sulle caratteristiche proprie associate alle malattie rare esiste, diversamente da quanto accade per le cifre, un certo accordo, per cui si può affermare senza dubbio che le malattie rare sono nella maggior parte dei casi croniche, in numero elevato progressive/evolutive, nel 30 per cento sono letali e responsabili di un’attesa di vita inferiore ai 5 anni, che 60 su 100 di esse colpiscono bambini (pediatriche) e, infine, che nel 90 per cento dei casi si tratta di malattie incurabili e genetiche. E guardando alla genomica, quei 4-5 milioni di basi per cui differiscono le persone, quel 95 per cento di varianti funzionali e quell’85 per cento di varianti molto rare, oltre ai milioni di variazioni post-zigotiche che caratterizzano ciascuno di noi, danno ragione dell’affermazione secondo la quale “ogni persona è unica”, da cui, come ha dichiarato il professor Dallapiccola, si può concludere che di fatto “ognuno di noi è un malato raro”.

Passando alle cinque pietre angolari delle malattie rare (diagnosi, presa in carico, ricerca, formazione e informazione, empowerment), il direttore scientifico dell’Ospedale Bambino Gesù ha concentrato il suo intervento sulle due che rappresentano al contempo delle criticità e sulle quali è necessario mantenere l’attenzione e programmare gli investimenti: la diagnosi e la presa in carico. Nonostante il progredire delle tecniche diagnostiche, infatti, porre diagnosi di malattia rara continua a essere la nota dolente della “rarità” sia a livello nazionale che internazionale [1].

I dati sul ritardo diagnostico riportano una media di 7,6 anni negli Stati Uniti e di 5,6 in Gran Bretagna, quelli sugli errori parlano di un 40 per cento di pazienti con diagnosi iniziale sbagliata. In termini complessivi, secondo il National institute of health, il 6 per cento di pazienti rari rimane senza una diagnosi, ma fino al 40 per cento dei pazienti pediatrici.

Le cause dell’estrema difficoltà di diagnosi stanno nell’aspecificità dei segni clinici, nella consistente variabilità interindividuale, nell’associazione casuale di due malattie rare e – per finire – nell’individuazione di sempre nuove malattie (solo al Bambino Gesù vengono scoperte 15-20 malattie rare nuove ogni anno). Visto però che, come si è detto, 9 malattie rare su 10 hanno una base genetica, è proprio sulla genetica che bisogna puntare per migliorare i tempi e la precisione della diagnosi. Basti pensare che grazie a quella che è stata definita senza mezzi termini la “rivoluzione genetica”, negli ultimi 20 anni circa, si sono ridotti di 250.000 volte costi e tempi dell’analisi genomica, analisi che oggi si può ottenere in 24 ore con una spesa di 300 euro. Ciò lo si deve alla disponibilità di tecniche di sequenziamento di seconda generazione (next generation sequencing). Quando non sono le tecnologie mirate a venirci incontro fornendo la diagnosi, si procede con l’analisi dell’esoma (la parte codificante del genoma) e, se ancora non sufficiente, con l’analisi della parte codificante e non del genoma. Si consideri che grazie alle analisi esomiche e genomiche si ottiene un significativo guadagno di diagnosi in circa il 30-50 per cento dei casi. Da tutto ciò, ha concluso Dallapiccola, risulta assolutamente auspicabile un cambiamento del sistema per i pazienti rari che bypassi completamente tutta la serie di esami che ancora oggi si fanno – e che risultano inutili ai fini diagnostici – e che dia invece priorità immediata all’analisi genomica.

Insieme alla diagnosi, anche la presa in carico dei pazienti con malattie rare si delinea come un ambito particolarmente critico perché molto complesso, date le caratteristiche stesse delle patologie coinvolte. Le terapie e i servizi di supporto per i pazienti rari vanno (e devono andare) ben al di là del farmaco tenendo conto, tra l’altro, che proprio quei servizi sono ovunque carenti e che quel farmaco, e quindi una cura, manca per il 95 per cento dei malati, nonostante il 70 per cento possa beneficiare di trattamenti variamente efficaci. La rete della presa in carico del paziente raro coinvolge i centri di esperienza/eccellenza per la cura delle malattie, il territorio, le associazioni dei pazienti, la rete regionale/nazionale e – di fondamentale importanza – gli European reference networks (Erns) che rappresentano la presa in carico europea per i malati rari.

Questi mettono in rete i più importanti centri di eccellenza per le malattie rare, condividono un approccio multidisciplinare, armonizzano la presa in carico dei malati rari in Europa, favoriscono diagnosi accurate e l’implementazione di terapie innovative. Inoltre si occupano delle linee-guida cliniche, condividono e disseminano buone pratiche cliniche, promuovono l’assistenza transfrontaliera, oltre a identificare strategie per ottimizzare i costi, promuovere ricerche collaborative, implementare e condividere registri e, non da ultimo, promuovere l’empowerment e il coinvolgimento dei pazienti.

L’Ern più piccola include 18 centri, quella più grande arriva a raccoglierne 73. Per quanto riguarda l’Italia, sono presenti sul territorio circa 200 centri e 24 reti per gruppi di malattie. I servizi di supporto che la rete di presa in carico deve poter fornire al paziente raro vanno dai farmaci convenzionali a quelli orfani, dal trapianto di organi alla chirurgia riparativa, dalla riabilitazione robotica alla logopedia, dalla terapia genica all’immunoterapia, e così via. Relativamente ai farmaci orfani, Dallapiccola si è soffermato sulla grande percentuale (40 per cento) destinata all’oncologia e sui costi straordinari che richiederebbero una contrattazione a livello europeo e non di singoli stati membri. Il prezzo di questi farmaci dovrebbe essere commisurato alla rarità: dovrebbe essere definito in base al costo sostenuto per la ricerca, lo sviluppo e la produzione; al valore del farmaco per il paziente e per la sua qualità di vita. Inoltre dovrebbe tenere conto del profitto, che dipende dalle dimensioni della popolazione dei pazienti, e che pertanto dovrebbe aumentare quando i pazienti sono pochi [2]. Considerando che le 350 malattie rare più comuni colpiscono l’80 per cento dei malati rari, va da sé che bisogna investire in queste malattie.

In conclusione, il professore Dallapiccola non ha potuto non menzionare un’area di ricerca decisiva per le malattie rare: la medicina di precisione…”

Per continuare a leggere la news originale:

Fonte: “Bruno Dallapiccola: malattie rare, tra criticità e prospettive“, forward

Tratto da: http://forward.recentiprogressi.it/4words-2019/rarita/