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Malattie rare – Dopo 30 anni nuove cure per l’amiloidosi da catene leggere

Si chiama amiloidosi da catene leggere e colpisce soprattutto il cuore, ma anche rene e intestino. Oggi alcuni farmaci antitumorali risultano efficaci nel contrastare la malattia

Trent’anni fa i medici non sapevano a che Santo votarsi: la scienza non offriva strumenti efficaci per combattere una malattia rara, allora poco conosciuta e poco diagnosticata, di cui si sapeva a mala pena il nome: amiloidosi da catene leggere, una delle tante forme di questa malattia caratterizzata da depositi di proteine anomale in vari organi che ne risultano così danneggiati. Allora si rimandava a casa il paziente con qualche terapia di supporto. Poi le cure si sono evolute nel tempo e oggi si può dire che la malattia è curabile, anzi, potenzialmente guaribile grazie a nuovi farmaci: i malati possono sopravvivere per anni.

I magnifici 4 dell’ematologia italiana

La storia di questa malattia, e delle cure che via via si sono rese disponibili, la racconta Giampaolo Merlini, Direttore del Centro per la cura e lo studio delle amiloidosi sistemiche all’Università di Pavia, Policlinico San Matteo, ad Atlanta in occasione dell’Ash, il congresso annuale dell’American Society of Haematology. Merlini è stato invitato a tenere la Ham Wasserman Lecture: un onore che viene riservato a ricercatori non americani dai colleghi statunitensi (per completezza: Thomas Hale Ham e Louis H. Wasserman sono due scienziati che hanno portato contributi fondamentali nel campo dell’ematologia). Prima di Merlini sono stati chiamati altri tre italiani: Guido Lucarelli di Pesaro per i suoi studi sul trapianto di midollo nella talassemia (1993), Pier Mannuccio Mannucci di Milano come uno dei massimi esperti di emofilia (2002), Clara Camaschella per le sue competenze nel campo del metabolismo del ferro e delle anemie (2013). E adesso tocca a Merlini.

Se le plasmacellule «impazziscono»

«L’amiloidosi da catene leggere – spiega il ricercatore pavese – è la forma più comune di amiloidosi: in questo caso a produrre proteine anomale sono le plasmacellule. Si tratta di componenti del sistema immunitario che normalmente sintetizzano anticorpi per la difesa dell’organismo contro agenti esterni, come virus o batteri. Quando un gruppo di plasmacellule “impazzisce”, fabbrica catene leggere in eccesso che si depositano soprattutto in cuore, reni e intestino. Ma, in particolare, sono le localizzazioni cardiache a influenzare la prognosi (danno origine a scompenso e ad aritmie, ndr)».

Che cosa c’entra il mieloma?

Nell’amiloidosi da catene leggere, dunque, un gruppo di plasmacellule “impazzisce” ed è come se costituisse un piccolo tumore, localizzato. Ma le plasmacellule sono anche in grado di dare origine a un tumore vero e proprio che si diffonde: il mieloma. In questo caso le plasmacellule non si limitano a produrre proteina anomale, ma si moltiplicano a dismisura e vanno a colonizzare le ossa. La mortalità, per il mieloma, è proprio legata alla proliferazione cellulare. Ed è questo il punto centrale della storia della terapia dell’amiloidosi: a mano a mano che hanno cominciato a prendere quota le terapie contro il mieloma, queste stesse terapie sono state sperimentate anche nell’amiloidosi da catene leggere con successi crescenti.

Dal trapianto ai chemioterapici

Ricorda Merlini: «Si è cominciato a provare con il trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche (cioè di cellule progenitrici degli elementi del sangue, plasmacellule comprese, prelevate dal paziente stesso, ndr) dopo aver “distrutto” il midollo osseo del malato con farmaci come il melfalan. Ma questo trattamento funzionava soltanto nel 20 per cento dei pazienti con amiloidosi da catene leggere. L’80 per cento dei malati veniva ucciso dalla terapia». Poi, nel 2004, si è scoperto che il desametasone (un cortisonico potente) associato al melfalan (un chemioterapico), in pratica una terapia antitumorale, si rivelava efficace in almeno il 70 per cento dei pazienti, in un terzo dei pazienti eliminava la proteina anomale e aumentava drasticamente la sopravvivenza fino a sette anni in media (prima era soltanto di un anno e mezzo)».

Farmaci innovativi

E arriviamo ai giorni nostri, con le nuove terapie anti-mieloma che si sono via via rivelate efficaci anche nell’amiloidosi. «Uno di questi è il bortezomib, un inibitore del proteasoma, già sperimentato nel mieloma – continua Merlini -. Si tratta di una molecola cosiddetta a bersaglio molecolare, che inibisce questo organello, il proteasoma appunto, che, nella cellula, ha il compito di eliminare le proteine sbagliate. Inibendo le sue funzioni si fa in modo che le proteine tossiche, prodotte in eccesso, distruggano la cellula che le produce. I pazienti trattati con questo farmaco recuperano i danni al cuore. E molti danno risposte complete che possono significare anche guarigione».

La super immunoterapia

Di più. L’immunoterapia, che sta dando grandi soddisfazioni nella cura dei tumori in generale, e del mieloma in particolare, si sta rivelando efficace anche nell’amiloidosi a catene leggere (l’immunoterapia si basa sulla somministrazione di farmaci che stimolano il sistema immunitario dell’organismo ad aggredire quel corpo estraneo che si chiama tumore). «Cinque studi, presentati ad Atlanta, hanno valutato l’efficacia di un immunoterapico, il daratumumab, nell’amiloidosi, uno di questi condotto anche a Pavia – aggiunge Merlini -. E il farmaco sembra dare risposte positive nel 90 per cento dei casi perché “uccide” le plasmacellule»…”

Per continuare a leggere la news originale:

Fonte: “Malattie rare: dopo 30 anni nuove cure per l’amiloidosi «comune»”, CORRIERE DELLA SERA / SPORTELLO CANCRO

Tratto dahttp://www.corriere.it/salute/sportello_cancro/17_dicembre_06/malattie-rare-30-anni-nuove-cure-l-amiloidosi-comune-985cad4c-daac-11e7-a3c8-56502bb7fa1e.shtml